Veli, dignità e verità: contro la strumentalizzazione dell’Islam e delle donne velate

Velo e politica

Viviamo in un tempo in cui la libertà viene invocata per negarla agli altri. In cui la democrazia si svuota di senso, e la parola “diritti” viene piegata per attaccare chi è diverso. Tra i bersagli preferiti di questa retorica ci sono le donne velate e l’Islam.

Troppo spesso, le donne che indossano il velo vengono rappresentate come sottomesse, silenziose, vittime di un sistema patriarcale. Ma questa narrazione è parziale, distorta, e spesso strumentale. La verità è che molte donne velate scelgono liberamente di indossare il velo. Lo fanno per fede, per identità, per dignità. Non per paura, non per obbligo, non per imposizione.

Il velo, per molte donne musulmane, è un simbolo di spiritualità, di rispetto per sé stesse, di appartenenza. È un modo per affermare la propria presenza nel mondo, non per nasconderla. È una scelta che nasce da una cultura millenaria, da una religione che — al di là delle interpretazioni politiche — riconosce alla donna dignità spirituale, diritto all’istruzione, al lavoro, alla parola.

L’Islam non è il male. Non è una minaccia. È una religione che, come tutte, ha al suo interno correnti, interpretazioni, tensioni. Ridurlo a un nemico è un atto di ignoranza — o peggio, di calcolo.

Chi attacca l’Islam, chi attacca le donne velate, non lo fa per difendere la libertà. Lo fa per strumentalizzare la paura. Per raccogliere voti, per costruire nemici, per distrarre dai veri problemi. Lo fa per alimentare una guerra culturale che non cerca verità, ma consenso.

Dietro ogni attacco alle donne velate c’è un messaggio implicito: “Tu non sei libera se non ti conformi a ciò che io considero libertà.” Ma la libertà non è uniformità. La libertà è pluralità. È il diritto di scegliere, anche quando quella scelta non coincide con la nostra.

Le donne velate non sono un blocco monolitico. Sono studentesse, madri, attiviste, professioniste, pensatrici. Alcune indossano il velo per tradizione, altre per convinzione, altre ancora lo rifiutano. Ma tutte meritano rispetto. Non perché sono velate o meno, ma perché sono persone.

La cultura islamica è ricca, complessa, viva. Ha prodotto poesia, filosofia, scienza, arte. Ha dato voce a donne che hanno insegnato, scritto, guidato. Ha generato movimenti di emancipazione che partono dalla fede, non contro di essa.

Confondere la religione con l’oppressione è un errore. Confondere la cultura con la barbarie è un atto di colonialismo mentale. Confondere la scelta con la costrizione è una forma di paternalismo travestito da progresso.

Chi vuole davvero difendere le donne, deve ascoltarle. Non parlare al loro posto. Chi vuole davvero combattere l’oppressione, deve distinguere tra fede e dominio. Non usare la religione come capro espiatorio.

Il velo non è una prigione. Lo diventa solo quando viene imposto — o quando viene vietato. La vera libertà è permettere a ogni donna di decidere per sé. Di credere, di non credere, di coprirsi, di scoprirsi. Di essere ciò che è, senza dover chiedere il permesso.

In un mondo che si riempie di muri, il rispetto è una soglia. In un tempo che si nutre di paure, la verità è una crepa. E ogni donna che cammina libera, velata o no, è già una promessa di giustizia.