La politica del nemico: quando il potere si nutre di paura
Il nemico non è chi è diverso. È chi ci insegna a odiare la diversità.
Un tempo, la politica era confronto. Era visione, era parola pensata, era rispetto per l’avversario. I politici di ieri — pur con limiti e contraddizioni — avevano una forma di signorilità. Parlavano al popolo, non contro il popolo. Sapevano che il potere non è dominio, ma servizio.
Oggi, invece, la politica si è trasformata in spettacolo. In provocazione continua. In una corsa al consenso che non cerca idee, ma bersagli. I politici di oggi non cercano soluzioni: cercano nemici. Non costruiscono ponti: alzano muri.
E i nemici più facili da colpire sono sempre gli stessi: i Neri, i musulmani, i migranti, i poveri. Non perché siano pericolosi, ma perché sono visibili. Perché sono fragili. Perché una parte del popolo — quella più impaurita, più ignorante, più manipolabile — è pronta a credere che il problema sia chi ha meno, non chi ha troppo.
La politica del nemico è una scorciatoia. Non richiede competenza, né visione. Basta un tweet, uno slogan, una paura da alimentare. Basta dire “prima gli italiani”, “difendiamo la nostra cultura”, “fermiamo l’invasione”. E intanto si tagliano i diritti, si svuotano le scuole, si privatizzano i beni comuni.
Questa politica non ha rispetto per il prossimo. Non ha rispetto per la verità. Non ha rispetto per la storia. Perché chi oggi attacca i musulmani, dimentica che l’Islam ha prodotto pensiero, arte, scienza. Perché chi oggi disprezza i Neri, ignora che la civiltà africana ha resistito, creato, donato. Perché chi oggi criminalizza i migranti, finge di non sapere che molti fuggono da guerre, da fame, da ingiustizie che l’Occidente ha contribuito a generare.
La politica del nemico è una forma di codardia istituzionale. È il potere che non sa governare, e allora governa la paura. È il leader che non sa unire, e allora divide. È il partito che non sa proporre, e allora accusa.
Ma non è inevitabile. Ogni parola che smaschera è una crepa. Ogni gesto di solidarietà è una soglia. Ogni comunità che resiste è già un altro mondo.
La dignità non ha colore. La fede non è una minaccia. La povertà non è un crimine. E chi usa il potere per umiliare, non è un leader: è un burattinaio della paura.
Oggi più che mai, serve una politica che non cerchi nemici, ma alleati. Che non parli per dividere, ma per comprendere. Che non si nutra di ignoranza, ma di verità.
Il vero nemico non è chi è diverso. È chi ci insegna a odiare la diversità.
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