Hamas e la resistenza palestinese: i nuovi partigiani
Ogni voce che rifiuta l’umiliazione è già una crepa nel dominio.
La parola “resistenza” è sacra. In Italia, ha il volto dei partigiani. Uomini e donne che hanno scelto la lotta contro il fascismo, contro l’occupazione, contro la paura. In Palestina, quella parola ha un altro nome: Hamas.
E qui il mondo si divide. Per alcuni, Hamas è terrorismo. Per altri, è l’unica voce rimasta a un popolo che non ha esercito, non ha Stato, non ha pace. Ma al di là delle etichette, resta una domanda: Chi resiste oggi sotto le bombe, sotto l’embargo, sotto l’occupazione?
Una resistenza nata dalla prigione
La Striscia di Gaza è una prigione a cielo aperto. Due milioni di persone vivono sotto assedio, senza libertà di movimento, senza accesso stabile a cure, acqua, elettricità. Ogni protesta è repressa. Ogni voce è soffocata. In questo contesto, Hamas è nato — non come partito, ma come risposta. Una risposta armata, religiosa, politica. Una risposta che ha scelto la lotta, anche violenta, come forma di sopravvivenza.
I nuovi partigiani?
Paragonare i miliziani di Hamas ai partigiani italiani è provocatorio. Ma non è privo di senso. Anche i partigiani furono chiamati “terroristi” dai fascisti. Anche loro agivano fuori dalle regole imposte dal potere. Anche loro combattevano un esercito più forte, più armato, più organizzato.
La differenza sta nel contesto, nei metodi, nei valori. Ma la somiglianza sta nella disperazione. Nel bisogno di dire “no” a un dominio che non lascia spazio alla dignità.
Tra diritto e violenza
Il diritto internazionale riconosce il diritto alla resistenza contro l’occupazione. Ma non giustifica ogni mezzo. La resistenza non è vendetta. Non è odio. Non è sterminio.
E Hamas, nel tempo, ha superato quel confine. Ha colpito civili. Ha imposto il proprio potere con la forza. Ha giustiziato oppositori. Eppure, resta — per molti palestinesi — l’unica forza che non si è piegata. Che non ha accettato l’umiliazione. Che ha detto: “Noi esistiamo.”
Oltre Hamas: la resistenza che unisce
La resistenza palestinese non è solo Hamas. È fatta di giovani che scrivono, che studiano, che manifestano. È fatta di donne che curano, che educano, che proteggono. È fatta di comunità che resistono con la memoria, con la cultura, con la fede.
I nuovi partigiani non sono solo armati. Sono anche poeti, insegnanti, medici, attivisti. Sono quelli che, sotto le macerie, continuano a dire: “Noi siamo umani.”
La resistenza non è perfetta. Ma è necessaria. In un mondo che normalizza l’occupazione, che giustifica l’assedio, che ignora la sofferenza, resistere è già un atto di verità.
Ogni volta che un popolo oppresso alza la voce, ogni volta che rifiuta di essere cancellato, ogni volta che sceglie la dignità, quella voce — anche se scomoda — è già una crepa nel dominio.
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