Imperialismo: il dominio che non muore
L’imperialismo non è solo una parola del passato. Non è solo colonie, mappe colorate, eserciti in marcia. È una logica che sopravvive, si trasforma, si mimetizza. È il dominio che si traveste da sviluppo, da sicurezza, da civiltà.
L’imperialismo è il potere che si espande. È la volontà di imporre confini, modelli, economie, lingue, religioni. È la convinzione che esista un centro e una periferia, un superiore e un inferiore, un diritto di comandare e un dovere di obbedire.
Non serve una bandiera per essere imperialisti. Basta una multinazionale che devasta una foresta. Basta un trattato che impone debiti eterni. Basta una base militare che occupa un territorio. Basta una narrazione che dice: “Noi sappiamo cosa è meglio per voi”.
L’imperialismo è economico. È il saccheggio delle risorse, la dipendenza finanziaria, il ricatto del mercato. È il grano che non sfama, il petrolio che non illumina, l’acqua che non disseta. È il lavoro che sfrutta, il commercio che esclude, il profitto che uccide.
L’imperialismo è culturale. È l’imposizione di modelli educativi, di canoni estetici, di valori dominanti. È la cancellazione delle lingue native, delle spiritualità locali, delle memorie resistenti. È il cinema che glorifica l’invasore, la scuola che tace le stragi, la pubblicità che vende sogni stranieri.
L’imperialismo è militare. È la presenza di eserciti stranieri, di droni, di satelliti, di protocolli di guerra. È la NATO che si espande, le guerre preventive, le missioni di pace armata. È la logica del controllo, della deterrenza, della sorveglianza.
L’imperialismo è anche spirituale. È l’idea che esista una verità unica, una fede superiore, una missione da compiere. È la negazione della pluralità, della diversità, della sacralità dei territori. È il colonialismo dell’anima, la conquista dei sogni, l’evangelizzazione del consumo.
Ma l’imperialismo non è invincibile. Ogni popolo che resiste lo smentisce. Ogni comunità che difende la propria terra lo sfida. Ogni voce che racconta la propria storia lo smaschera.
La resistenza all’imperialismo è ovunque. È nei contadini che difendono i semi liberi. È nei popoli indigeni che proteggono le foreste. È nei migranti che attraversano confini imposti. È nei movimenti che rifiutano il debito, la guerra, la colonizzazione.
Essere contro l’imperialismo significa scegliere la solidarietà invece del dominio. Significa riconoscere l’autonomia dei popoli, il diritto alla sovranità, il valore della diversità. Significa smascherare ogni retorica che giustifica l’invasione, l’intervento, la superiorità.
Significa anche guardarsi dentro. Perché l’imperialismo non è solo là fuori. È nei nostri consumi, nei nostri linguaggi, nei nostri silenzi. È nella normalizzazione del privilegio, nella complicità quotidiana, nella distrazione.
Resistere all’imperialismo è un atto politico, ma anche spirituale. È scegliere di ascoltare, di imparare, di decentrarsi. È costruire relazioni orizzontali, economie locali, culture plurali. È restituire dignità a ogni territorio, a ogni voce, a ogni sogno.
Ogni crepa è una soglia. Ogni soglia, una liberazione. Ogni resistenza, un altro mondo.
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