Capitalismo predatorio: il profitto che divora la dignità

Schiavitù moderna

Il capitalismo non è solo un sistema economico. È una macchina che divora, una logica che trasforma ogni cosa in merce. È il profitto che si impone sulla vita, il denaro che decide chi vale e chi può essere sacrificato.

Nel cuore di questo sistema ci sono le banche. Non più luoghi di custodia, ma centri di potere. Le banche non prestano: impongono. Non aiutano: ricattano. Ogni mutuo è una catena. Ogni interesse è una tassa sulla speranza. Decidono chi può avere una casa, chi può studiare, chi può curarsi. E se non puoi pagare, non sei più nessuno.

Accanto alle banche, ci sono le multinazionali. Colossi senza volto, senza patria, senza scrupoli. Producono ovunque, vendono ovunque, sfruttano ovunque. Non conoscono confini, ma impongono confini agli altri. Dove arrivano, distruggono economie locali, impongono modelli, cancellano culture. Ogni prodotto che compri è spesso il frutto di una catena invisibile di sfruttamento.

E poi ci sono le imprese che sciacallano sugli operai. Quelle che promettono lavoro e consegnano schiavitù. Turni massacranti, contratti fantasma, sicurezza assente. Fabbriche dove si lavora 12 ore al giorno per una miseria, dove il tempo non esiste, dove il corpo è solo uno strumento da spremere. Ogni pausa è un lusso. Ogni protesta, una minaccia. Chi si ammala viene scartato. Chi si ribella viene isolato.

Nel sottosuolo di questo sistema, c’è il caporalato. La forma più brutale del capitalismo. Uomini che vendono altri uomini. Donne che raccolgono frutti sotto il sole cocente per pochi euro. Migranti che vivono in baracche, che non hanno diritti, che vengono trattati come bestie. Il caporalato non è un’anomalia: è il capitalismo nudo, senza maschere.

Il capitalismo predatorio non crea ricchezza: la concentra. Non distribuisce opportunità: le nega. Non premia il merito: premia il potere. Ogni impresa che sfrutta, ogni banca che ricatta, ogni multinazionale che devasta, è parte di un sistema che considera la vita umana un costo da ridurre.

Ma non è inevitabile. Ogni operaio che si organizza, ogni comunità che resiste, ogni voce che denuncia, è una crepa nel sistema. Ogni sciopero è una soglia. Ogni solidarietà, una scintilla. Ogni gesto di cura, ogni parola di verità, ogni rifiuto del profitto come unico valore, è già un altro mondo.

Il capitalismo delle banche, delle multinazionali, delle fabbriche disumane, non è il futuro. È un presente da rovesciare. Perché la dignità non si compra. Perché il lavoro non è schiavitù. Perché la vita vale più del profitto.

Ogni ingranaggio è una vita. Ogni crepa, una soglia. Ogni resistenza, un altro mondo.