Cambiamento climatico: disastri, ingiustizia, resistenza

Cambiamento Climatico

Il cambiamento climatico non è futuro: è presente. È l’uragano che devasta le coste, l’incendio che divora le foreste, la siccità che spacca la terra, l’alluvione che trascina via case e memoria. È la voce della terra che si spezza sotto il peso dell’indifferenza.

Ogni disastro naturale è un effetto politico. Non è la natura che impazzisce: è il sistema che l’ha tradita. Un’economia fondata sul profitto ha scavato miniere, bruciato combustibili, cementificato fiumi, avvelenato l’aria. Ha chiamato “sviluppo” la distruzione, “progresso” l’estrazione, “crescita” l’estinzione.

Ma il cambiamento climatico non colpisce tutti allo stesso modo. Chi ha inquinato di più, fugge. Chi ha inquinato di meno, affonda. Le comunità povere, i popoli indigeni, i contadini, i migranti: sono loro a pagare il prezzo di un disastro che non hanno causato. La crisi climatica è anche una crisi di giustizia.

Eppure, la resistenza esiste. Esiste in chi difende un bosco, in chi coltiva senza veleni, in chi blocca un oleodotto, in chi costruisce reti di solidarietà. Esiste in chi rifiuta la logica della devastazione e sceglie la cura. In chi non si arrende all’inevitabile, ma semina possibilità.

Resistere al cambiamento climatico non è adattarsi. È ribellarsi. È immaginare un mondo dove la terra non è proprietà, ma madre. Dove il tempo non è denaro, ma respiro. Dove la politica non è potere, ma responsabilità.

Il cambiamento climatico è il volto della crisi. Ma ogni crepa è una fessura da cui può entrare la luce. Ogni gesto di cura è una scintilla. Ogni comunità che resiste è già un altro mondo.

Ogni crepa è una fessura. Ogni fessura è possibilità. Ogni possibilità è resistenza.