Anna Frank nacque il 12 giugno 1929 a Francoforte, in una Germania che stava scivolando nel buio del nazismo. Figlia di Otto e Edith Frank, crebbe in una famiglia ebrea borghese, colta e affettuosa. Nel 1933, con l’ascesa di Hitler, i Frank si rifugiarono ad Amsterdam, cercando una vita libera. Ma nel 1940, l’Olanda fu invasa dai nazisti, e le leggi antisemite iniziarono a colpire anche lì.
Nel luglio 1942, per sfuggire alla deportazione, Anna e la sua famiglia si nascosero in un alloggio segreto dietro l’ufficio del padre. In quel rifugio, condiviso con altre quattro persone, Anna iniziò a scrivere il suo diario: un quaderno rosso a quadretti che le era stato regalato per il suo tredicesimo compleanno. In quelle pagine, annotò pensieri, paure, sogni, desideri. Scrisse di sé, degli altri, del mondo che non poteva vedere. Scrisse per restare viva.
Il 4 agosto 1944, il nascondiglio fu scoperto. Anna fu deportata ad Auschwitz, poi a Bergen-Belsen, dove morì di tifo nel marzo 1945, a soli 15 anni. Il padre Otto fu l’unico sopravvissuto. Ritrovò il diario della figlia grazie a Miep Gies, una delle persone che avevano aiutato i Frank durante la clandestinità. Lo pubblicò nel 1947.
Il Diario di Anna Frank è diventato una delle testimonianze più potenti del Novecento. Non solo un documento della Shoah, ma una voce che parla di libertà, dignità, resistenza. Anna scrisse:
“Voglio continuare a vivere anche dopo la mia morte.” E ci è riuscita.
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