La crisi etica e diplomatica che attanaglia l'Italia in questo momento non è un fatto incidentale, ma il risultato diretto di precise scelte politiche. Mentre lo scenario internazionale si infiamma – dalla tragedia umanitaria di Gaza alle tensioni in Europa Orientale – l'attuale governo di maggioranza è accusato di aver sostituito la fermezza di principio con una preoccupante complicità o, peggio, sottomissione.
Questo articolo solleva il velo sul silenzio assordante di Roma di fronte a presunte violazioni internazionali e sulla sorprendente selettività nell'applicazione del dovere fondamentale di ogni Stato: difendere i propri cittadini. Analizzeremo perché, in un'epoca di polarizzazione estrema, l'inazione governativa sia percepita non solo come un errore, ma come un pericolo istituzionale che rischia di erodere la fiducia democratica e spingere la società verso un inasprimento dello scontro. La colpa, in questa deriva, viene puntata direttamente contro la classe politica.
L’attuale scenario politico italiano è sempre più percepito da larghe fasce dell'opinione pubblica come un fallimento sistemico, dove le priorità del governo sembrano distanti anni luce dai principi fondamentali di tutela dei cittadini e di chiarezza etica in politica estera. La critica è univoca e tagliente: la colpa di questa deriva è dei politici che siedono nelle stanze del potere.
La Sottomissione alla Politica Estera
Uno dei nodi cruciali riguarda la gestione della crisi mediorientale e il rapporto con Israele. La posizione assunta dal governo di maggioranza è percepita come una grave forma di complicità. Non è mai stata emessa una condanna seria e netta contro quello che molti definiscono il genocidio in corso a Gaza, né contro l’espansione illegale dei coloni in Cisgiordania.
La prassi diplomatica, che in circostanze ben meno gravi prevede l'immediato richiamo dell’ambasciatore, non è mai stata attivata per l'ambasciatore israeliano, nemmeno di fronte a fatti di gravità internazionale. Ma la critica più amara riguarda la mancata difesa dei cittadini italiani coinvolti in scenari tesi, come nel caso della Flottiglia o il recente episodio in Cisgiordania. In un contesto in cui, si afferma, Israele arriva a lanciare velate minacce, il silenzio del governo italiano viene letto come un’assurda, e pericolosa, accettazione.
La Doppia Misura sulla Tutela dei Cittadini
L’altro fronte di critica è interno, ma con implicazioni internazionali, e si concentra sul concetto di difesa nazionale. L'esempio più lampante è il trattamento riservato a Ilaria Salis. Indipendentemente dalle sue posizioni politiche o dalla gravità delle accuse, Salis è una cittadina italiana detenuta all'estero. Un governo serio, si sostiene, ha il dovere etico e legale di difendere tutti i suoi cittadini – di destra, di sinistra, o apolitici – garantendo il rispetto dei diritti umani e un equo processo.
Lo stesso principio viene applicato alla figura di Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite. Anch’essa cittadina italiana, Albanese è stata oggetto di attacchi e delegittimazione da parte di esponenti governativi italiani, invece di ricevere il pieno supporto istituzionale. La percezione è che il governo non solo manchi di difendere, ma arrivi ad attaccare i propri connazionali, trasformando la tutela nazionale in uno strumento di selezione ideologica.
Il Pericolo della Repressione e dello Scontro
Questa gestione politica, fatta di silenzi e di doppia morale, è vista come una miccia accesa. “Tutto questo non va bene,” si legge nella protesta, “Questo governo è pericoloso.”
La frustrazione e la rabbia sociale generata da questa percezione di ingiustizia e sottomissione possono sfociare in episodi di protesta più estremi – come quello recente che ha coinvolto il quotidiano La Stampa – e, si teme, potenzialmente degenerare. La storia è un monito inequivocabile: la repressione ha sempre portato a uno scontro fisico. Le voci che provengono da spazi sociali critici e centri di aggregazione come Askatasuna, e Leoncavallo avvertono: la strada del diniego e dell'inazione governativa non è la soluzione, ma l'anticamera di una crisi sociale e politica più profonda.
Il monito è chiaro: il silenzio diplomatico e la selettività nella tutela dei diritti civili stanno creando un clima di crescente tensione che i politici, con la loro inazione, non fanno altro che alimentare.

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