La Grande Bugia di una Canzone d’Amore (e l'ombra del Colonialismo)

Fascisti

 Uno dei miti più persistenti e ingannevoli che circondano la cultura popolare del Ventennio è l'idea che "Faccetta Nera" sia, in fondo, una innocua e romantica canzone d'amore. Questa interpretazione, spesso usata per minimizzare la carica ideologica e razzista del brano, è in realtà una grande distorsione storica.

La verità è che la canzone, composta nel 1935, è un perfetto esempio di propaganda coloniale e maschilista, intrisa di un paternalismo razzista che giustificava l'aggressione italiana all'Etiopia.

Il Contesto Storico:

Non è Amore, è Guerra

La canzone di Renato Micheli e Mario Ruccione nacque nel pieno della Guerra d'Etiopia (1935-1936).

   

Obiettivo:

Il Fascismo aveva bisogno di un sostegno popolare massiccio per la sua impresa coloniale e bellica, presentata come una missione "civilizzatrice" per liberare gli abissini dalla schiavitù (una tesi propagandistica usata per coprire mire imperialiste).

    La "Liberazione": Il brano parla di una giovane ragazza abissina che viene "liberata" e portata in Italia, dove diventerà "sorella" e avrà "un Duce e un Re" nuovi. L'atto di liberazione non è romantico, ma politico e militare: è la sottomissione di una donna e, simbolicamente, di un popolo, all'ideologia fascista e alla monarchia italiana.

L'Ombra del Paternalismo Razzista

Il presunto "amore" espresso nella canzone nasconde un profondo paternalismo razzista e maschilista tipico del colonialismo:

   

L'Oggetto del Desiderio:

La donna nera (la "faccetta nera") è descritta come passiva, bisognosa di essere salvata e plasmata dall'uomo bianco (il soldato italiano). Non è una relazione tra pari, ma un possesso.

    La Trasformazione: Il verso chiave è: "Ti daremo un Duce e un Re / La bandiera tricolore / Tu sarai romana...". La conversione della donna in "sorella romana" è il culmine dell'atto coloniale. L'amore è subordinato all'assimilazione forzata all'ideologia e alla cultura dei colonizzatori.

La figura della donna africana, in questo contesto, serviva a due scopi propagandistici: presentare il soldato italiano come "bravo italiano" portatore di civiltà e, allo stesso tempo, sfruttare il fascino esotico per incoraggiare l'impresa coloniale e la fantasia sessuale legata al possesso delle donne dei territori occupati.

Un Brano che Scontentò Persino Mussolini

Paradossalmente, l'interpretazione "fraternizzante" e "sessualizzante" della canzone finì per scontentare anche il regime.

    Quando la politica razziale fascista si radicalizzò con l'Impero, il testo di "Faccetta Nera" fu ritenuto troppo "simpatizzante" con gli abissini (considerati ormai una razza inferiore).

    Il regime promosse il celebre slogan "Donne e buoi, dai paesi tuoi" e approvò, dal 1937, leggi sempre più segregazioniste che vietavano i rapporti sessuali tra italiani e donne africane per mantenere la purezza della razza.

Conclusione:

La Bugia è la Minimizzazione

Definire "Faccetta Nera" una semplice canzone d'amore è la bugia finale che serve a decontestualizzare il brano dalla sua vera natura: quella di un inno che ha accompagnato l'aggressione militare, la dominazione coloniale e una politica razzista.

Nonostante il successo popolare, il suo significato resta indissolubilmente legato alla retorica imperialista e al razzismo del ventennio. Ascoltare oggi "Faccetta Nera" senza riconoscerne il contesto coloniale significa ignorare una pagina dolorosa della storia italiana. 

Bandiera Nera