Palestina: Il Silenzio che Uccide

Ogni casa demolita è una ferita. Ogni vita spezzata, una soglia.

Palestina Occupata

“Finché il mondo tace, ogni parola è già accusa. Ogni articolo, un colpo contro l’impunità.”

La Palestina oggi è una ferita aperta, un grido soffocato sotto le macerie. Mentre il mondo osserva, Israele agisce con impunità. Le vite palestinesi vengono spente, le case distrutte, e ogni voce che denuncia viene etichettata come estremista.

Nel cuore del Medio Oriente, tra le rovine di Gaza e le strade militarizzate della Cisgiordania, si consuma una tragedia che non ha fine. La Palestina non è solo un territorio conteso: è il simbolo di una resistenza che il mondo ha deciso di ignorare. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, si aggiunge un nome alla lista dei morti. E ogni volta, la giustificazione è la stessa: erano terroristi, erano antisemiti, erano una minaccia. Ma chi decide? Chi verifica? Chi osa parlare?

In Israele si continua a uccidere. A Gaza e nella Cisgiordania occupata, poi si dice che erano terroristi o antisemiti, e nessuno osa parlare. Intanto le abitazioni dei palestinesi vengono saccheggiate, occupate, demolite. I palestinesi vengono arrestati senza prove, o direttamente uccisi. Il mondo osserva, ma tace.

Gaza: vivere sotto le bombe

La Striscia di Gaza è diventata un laboratorio di punizione collettiva. Intere famiglie vengono cancellate da raid notturni. I bambini crescono tra le macerie, senza acqua, senza elettricità, senza futuro. Ogni tregua è una pausa per ricaricare i missili. Ogni cessate il fuoco è una menzogna diplomatica. E quando si parla di vittime, si contano solo quelle israeliane. I palestinesi? Numeri. Collaterali. Silenziati.

Cisgiordania: l’occupazione che non dorme mai

In Cisgiordania, l’occupazione è quotidiana. I checkpoint sono umiliazione. Le incursioni notturne sono norma. I coloni armati agiscono con protezione militare. Le terre vengono confiscate, i villaggi isolati, le scuole chiuse. E chi protesta, anche pacificamente, viene arrestato. O peggio. La legge non è uguale per tutti. Un israeliano e un palestinese non hanno gli stessi diritti, né davanti ai tribunali né nella vita. È apartheid. Ma guai a dirlo.

Gerusalemme: la città divisa

Gerusalemme, città sacra, è diventata il simbolo della divisione. I palestinesi di Gerusalemme Est vivono sotto sorveglianza, con il rischio costante di perdere casa, identità, diritto di esistere. Le famiglie vengono sfrattate per far posto a coloni. Le moschee vengono profanate. E ogni protesta viene repressa con lacrimogeni, proiettili, arresti.

Il mondo che tace

La comunità internazionale si riempie la bocca di “pace”, “dialogo”, “soluzioni diplomatiche”. Ma quando Israele bombarda, invade, uccide, nessuno impone sanzioni. Nessuno ritira ambasciatori. Nessuno interrompe i commerci. Non riesco a comprendere: perché a Israele tutto sembra essere permesso, impunemente? Perché chi denuncia viene accusato di antisemitismo. Perché la memoria dell’Olocausto viene usata come scudo per giustificare l’ingiustificabile. Perché la geopolitica ha deciso che la vita palestinese vale meno.

La domanda che brucia

Questa non è una guerra. È un dominio. È una punizione. È una cancellazione. E la domanda resta: quante vite palestinesi devono ancora essere spezzate prima che il mondo dica basta? Quante case devono essere demolite? Quanti bambini devono morire? Quanti silenzi dobbiamo ancora ascoltare?

La Palestina non chiede vendetta. Chiede giustizia. Non chiede privilegi. Chiede diritti. Non chiede odio. Chiede voce.

Finché il mondo tace, ogni parola è già accusa.
Ogni articolo, un colpo contro l’impunità.