Non chiamateli eroi: contro l’impunità dell’IDF

IDF Assassini

Non chiamateli eroi. Non chiamateli gloriosi. Perché sono una banda di assassini, terroristi, vigliacchi, infami. I loro superiori andrebbero condannati per crudeltà, malvagità, cattiveria.

Queste parole non sono slogan. Sono il grido di chi ha visto, di chi ha perso, di chi non può più tacere. Dietro ogni uniforme dell’IDF si celano storie di sangue, di distruzione, di vite spezzate. Non si tratta di difesa. Si tratta di dominio. Non si tratta di sicurezza. Si tratta di oppressione.

La macchina della violenza e la banalità del male in uniforme

L’IDF non è un esercito. È un meccanismo di terrore. Opera nei territori occupati come un predatore: spara su civili, demolisce case, arresta bambini, bombarda ospedali. Ogni azione è calcolata. Ogni ferita è voluta. Ogni morte è parte di un disegno.

Il problema non è il singolo atto di barbarie, ma il sistema che lo rende possibile, anzi, necessario. L’IDF non è un’aberrazione, ma il braccio armato di una politica di occupazione e apartheid che dura da decenni. La sua violenza è istituzionalizzata, codificata, persino celebrata.

  • L'addestramento alla disumanizzazione: I soldati vengono addestrati a vedere l'altro come un non-umano, un bersaglio, un intruso da eliminare.
  • L'impunità come licenza di uccidere: I pochi casi di "indagine" interna sono una farsa. L’impunità è un via libera per ogni atrocità futura.
  • La distorsione della legge internazionale: L'IDF agisce al di sopra di ogni convenzione, ignorando le risoluzioni e calpestando i diritti umani.

La retorica dell'eroismo e il teatro dell'orrore quotidiano

Ogni volta che un soldato dell’IDF uccide, lo chiamano eroe. Ogni volta che un quartiere viene raso al suolo, lo chiamano operazione chirurgica. Ogni volta che un bambino muore, lo chiamano danno collaterale.

Ma non c’è nulla di eroico nel bombardare civili. Non c’è nulla di glorioso nel torturare prigionieri. Non c’è nulla di giusto nel negare l’acqua, la luce, la dignità.

  • I check-point come strumenti di tortura psicologica: Luoghi dove la dignità viene smantellata pezzo per pezzo.
  • La guerra all'agricoltura e all'acqua: Distruggere uliveti e negare l’accesso ai pozzi è una pulizia etnica ambientale.
  • Il culto della paura: Ogni pattuglia, ogni drone ha uno scopo: mantenere la popolazione in uno stato perenne di terrore.

La responsabilità e il dovere della denuncia

Ogni soldato che spara. Ogni comandante che ordina. Ogni generale che pianifica. Ogni ministro che approva. Tutti sono responsabili. La responsabilità non è solo morale. È penale. È storica. È umana.

Non si può permettere che la storia venga riscritta dalla propaganda dei vincitori. Il loro "eroismo" è una menzogna costruita sul sangue. Dobbiamo continuare a chiamare le cose con il loro nome: non "misure di sicurezza", ma assedio. Non "risposta mirata", ma massacro.

La voce che non si piega

Questo Manifesto non è neutro. Non vuole esserlo. Perché la neutralità, davanti all’ingiustizia, è complicità. Bandiera Nera non tace. Non si piega. Non si nasconde dietro le formule. Dice ciò che va detto. E lo dice con forza.

Non chiamateli eroi. Chiamateli per ciò che sono. E non smettete mai di gridarlo.