Il Parroco e gli Ebrei Nascosti
Quando la tonaca fu più forte del filo spinato. Quando la fede salvò la vita.
“La fede che non si inginocchia al potere.”
San Martino Spino, Bassa Modenese, inverno del 1943. L’Italia è spezzata. I fascisti collaborano con i nazisti. I treni partono da Fossoli, carichi di ebrei, diretti ai campi. Le baracche sono piene. Le coscienze, vuote. Ma in una canonica di provincia, un uomo decide che non può restare in silenzio. Si chiama Don Dante Sala. È un parroco. È un giusto. È una soglia.
La canonica come rifugio
Dopo l’8 settembre, la Repubblica Sociale Italiana intensifica la caccia agli ebrei. I rastrellamenti si moltiplicano. A San Martino Spino, Don Dante apre le porte della sua canonica. Non chiede nomi. Non chiede documenti. Chiede solo: “Avete bisogno?” Una famiglia ebrea jugoslava entra. Silenziosa. Spaventata. Viene nascosta tra le stanze, tra le coperte, tra le preghiere.
La rete clandestina
Don Dante non è solo. Collabora con Odoardo Focherini, giornalista cattolico, e con Silvio Borghi, casaro antifascista. Insieme creano una rete di salvezza. I perseguitati vengono accompagnati in piccoli gruppi, da Modena a Milano, poi verso Como, Cernobbio, e infine in Svizzera. Il viaggio è lungo. I treni sono sorvegliati. Ma Don Dante li guida personalmente. In abiti civili. Con valigie leggere e occhi pesanti. Ogni viaggio è una sfida. Ogni arrivo, una vittoria.
Il coraggio silenzioso
Don Dante non parla mai di sé. Non scrive. Non si vanta. Dice solo: “Ho fatto il mio dovere.” Ma il suo dovere è immenso. Salva oltre cento ebrei. Li accompagna, li nasconde, li protegge. Alcuni sono bambini. Altri anziani. Tutti hanno paura. Ma lui ha fede. E la fede, quella vera, non si piega al potere.
Il rischio
Ogni gesto è punibile. Ogni parola può essere tradita. Don Dante sa che può essere arrestato. Torturato. Deportato. Ma non si ferma. Quando Focherini viene catturato e deportato, Don Dante continua. La canonica diventa un crocevia. Un altare di salvezza. Un luogo dove la Resistenza non ha fucili, ma mani tese.
Il dopo
La guerra finisce. I treni si fermano. I campi vengono liberati. Don Dante torna al suo ministero. Non cerca riconoscimenti. Non cerca medaglie. Ma chi è stato salvato lo ricorda. Lo cerca. Lo ringrazia. Nel 1969, viene riconosciuto tra i Giusti tra le Nazioni. Ma lui dice: “Non sono un giusto. Sono un cristiano.”
Il lascito
- Una canonica che divenne rifugio
- Una tonaca che sfidò il filo spinato
- Una rete di salvezza fatta di pane e coraggio
- Un parroco che camminò accanto agli ultimi
- Una fede che non si inginocchiò al potere
Perché ricordarla
- Perché la Resistenza non è solo montagna: è parrocchia
- Perché ogni ebreo salvato è già rivoluzione
- Perché ogni viaggio verso la libertà è una crepa nel dominio
- Perché Don Dante non è un eroe: è una soglia
- Perché la fede, quando è vera, non ha paura
0 Commenti