Complicità e dominio: il volto oscuro del potere

Sionismo

C’è un filo che lega Netanyahu, Ben-Gvir, Smotrich, Trump e tutti i governi che sostengono il sionismo israeliano. Non è un filo di diplomazia. È un filo spinato. È il filo che separa l’umano dal disumano, il diritto dalla forza, la giustizia dalla propaganda.

Non è solo una questione politica. È una questione ontologica. È la domanda che ci perseguita: cosa resta dell’umano quando il potere si fa sterminio? Quando la legge diventa strumento di apartheid? Quando la democrazia si piega alla logica del nemico?

Netanyahu: il volto della strategia

Benjamin Netanyahu non è un semplice leader. È l’architetto di una visione: una visione che trasforma la sicurezza in dominio, la difesa in espansione, la memoria in giustificazione. Ogni parola che pronuncia è già calcolo. Ogni silenzio, già complicità.

Il suo governo è il più a destra della storia israeliana. E non è un caso. È il frutto di una lunga deriva, di una costruzione ideologica che ha fatto del sionismo non più un sogno di rifugio, ma un progetto di esclusione. Un progetto che non tollera l’altro, che non contempla la convivenza, che non riconosce il dolore altrui.

Ben-Gvir e Smotrich: l’estremismo che si fa legge

Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich non sono semplici ministri. Sono l’anima nera del governo. Sono la voce che invoca distruzione, vendetta, annientamento. Sono il volto di un potere che non si vergogna di distribuire armi ai coloni, di invocare la cancellazione di Gaza, di camminare provocatoriamente sulla Spianata delle Moschee.

La loro presenza nel governo non è marginale. È centrale. È il segno che l’estremismo non è più ai margini, ma al centro della decisione. È il segno che la violenza non è più un’eccezione, ma una politica. E chi li sostiene, chi li giustifica, chi li finanzia, è complice.

Trump e la complicità globale

Donald Trump non è israeliano. Ma è parte del disegno. Il suo piano per il Medio Oriente non era un piano di pace. Era un piano di legittimazione. Legittimazione dell’occupazione, dell’annessione, della negazione. Era il tentativo di riscrivere la storia con il linguaggio del vincitore.

E non è solo lui. Sono tanti i governi che, in nome della stabilità, della geopolitica, del commercio, chiudono gli occhi. Che firmano accordi, che vendono armi, che tacciono davanti ai crimini. Che chiamano “alleato” chi bombarda ospedali. Che chiamano “democrazia” chi pratica l’apartheid.

La filosofia della complicità

La complicità non è solo azione. È omissione. È il silenzio che diventa consenso. È la parola che manca quando dovrebbe esserci. È la scelta di non vedere, di non sapere, di non disturbare.

E allora la domanda è: cosa resta della politica quando diventa complice? Cosa resta della morale quando si piega al potere? Cosa resta dell’umano quando si accetta l’orrore come normalità?

Bandiera Nera: la voce che non si piega

Questo Manifesto non è neutro. Non vuole esserlo. Perché la neutralità, davanti all’ingiustizia, è complicità. Bandiera Nera non tace. Non si piega. Non si nasconde dietro le formule. Dice ciò che va detto. E lo dice con forza.

Perché ogni parola che denuncia è già resistenza. Perché ogni voce che si alza è già lotta. Perché ogni silenzio che si rompe è già giustizia.

Non basta condannare. Bisogna disobbedire. Bisogna gridare. Bisogna ricordare. Perché il potere che uccide ha paura della memoria. E ogni parola che non si piega è già partigiana.