Antisemitismo e Antisionismo: due parole, due mondi
Nel tempo della confusione strategica, distinguere è un atto di coscienza. Antisemitismo e antisionismo sono due parole che spesso vengono sovrapposte, confinate nello stesso spazio semantico, usate come sinonimi per delegittimare ogni critica, ogni voce dissidente. Ma sono due realtà profondamente diverse — storicamente, moralmente, politicamente. E confonderle non è solo un errore: è una forma di censura.
Antisemitismo: l’odio contro un’identità
L’antisemitismo è una forma di razzismo. È l’odio contro gli ebrei in quanto ebrei. È la negazione della loro dignità, della loro storia, della loro umanità. Ha radici antiche: dalla demonizzazione medievale, ai pogrom, alla Shoah. È stato teologico, etnico, pseudoscientifico. È stato legge, propaganda, sterminio.
Oggi si manifesta in negazioni dell’Olocausto, in stereotipi economici, in attacchi a sinagoghe, in insulti online. È sempre da condannare, senza ambiguità. Perché colpisce persone, famiglie, memorie. Perché nega il diritto di esistere.
Antisionismo: critica a un progetto politico
Il sionismo è un movimento politico nato alla fine dell’Ottocento, con l’obiettivo di creare uno Stato ebraico in Palestina. Dopo la Shoah e la fine del mandato britannico, nel 1948 nasce lo Stato di Israele. L’antisionismo è la critica — talvolta radicale — a questo progetto: non all’identità ebraica, ma alla sua traduzione statale e territoriale.
Chi è antisionista può esserlo per molte ragioni: per solidarietà con il popolo palestinese, per opposizione al nazionalismo etnico, per rifiuto dell’occupazione militare, per difesa del diritto internazionale. L’antisionismo non nega l’esistenza degli ebrei, ma può contestare l’idea che uno Stato debba fondarsi su una sola identità religiosa o etnica. Alcuni antisionisti sono ebrei, laici o religiosi, che rifiutano il sionismo per motivi teologici o etici.
La confusione come strategia
Confondere antisemitismo e antisionismo è una strategia. Serve a criminalizzare la critica, a proteggere l’impunità dietro l’identità, a trasformare la solidarietà in odio. Ma dire “Israele viola i diritti umani” non è antisemitismo. Dire “la democrazia non può convivere con l’occupazione” non è antisemitismo. Dire “la Palestina ha diritto alla libertà” non è antisemitismo.
La linea è chiara: l’antisemitismo attacca le persone per ciò che sono; l’antisionismo contesta un progetto politico, uno Stato, una politica. Quando si confondono, si impedisce il dibattito, si soffoca la coscienza, si tradisce la verità.
Difendere la verità, proteggere la dignità
Essere antisionisti non significa negare la sofferenza ebraica, né ignorare la storia della persecuzione. Significa, piuttosto, rifiutare che quella sofferenza venga usata per giustificare nuove oppressioni. Significa credere che la giustizia non abbia confini etnici, che la libertà non sia privilegio di pochi.
Allo stesso tempo, combattere l’antisemitismo è un dovere universale. Perché ogni odio contro un popolo è un attacco alla nostra umanità. Perché la memoria della Shoah non è proprietà di uno Stato, ma patrimonio dell’umanità.
Conclusione: due voci, una coscienza
Antisemitismo e antisionismo non sono sinonimi. Uno è odio, l’altro può essere critica. Uno è razzismo, l’altro può essere resistenza. Ma entrambi ci interrogano: sulla verità, sulla giustizia, sulla possibilità di convivere senza cancellarsi.
In un mondo che confonde la denuncia con l’odio, distinguere è già un atto di coraggio. E in un tempo in cui la parola è sorvegliata, pronunciarla con chiarezza è già ribellione.
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